Post a cura di Italian Stories | dal nostro libro MANI
Marino Menegazzo, battiloro – Venezia
ph Evelyn Leveghi
Mi emoziono sempre quando apro la porta del mio laboratorio. Sarà perché si trova a Cannaregio, uno dei sestieri più belli di Venezia, o perché ogni mattina percorro un labirinto di calli, campielli e giardini nascosti per arrivarci.
Mi emoziona anche pensare che nelle piccole stanze dove lavoro ha vissuto Tiziano Vecellio e che, nel 2016, la bottega ha festeggiato novant’anni di storia.
Il laboratorio artigianale in cui batto a mano la foglia d’oro è rimasto uguale dal 1926, anno in cui è stato fondato dalla famiglia di mio suocero, Mario Berta. E’ da lui che ho imparato il mestiere, avevo poco più di vent’anni e, sotto la sua guida, ho imparato a trasformare lingottini d’oro, d’argento e di altri metalli preziosi in sottilissime foglie per decorazioni artistiche, ma anche cosmetiche e culinarie.
Sono l’unico battiloro artigiano, in Italia e forse in Europa, che ancora batte la foglia d’oro a mano. La sola “macchina” presente in bottega è il maglio, in attività dal 1926 per trasformare un blocchetto d’oro in una sfoglia ovale e sottile, pronta per essere battuta a colpi di martello. La batto con martelli di peso diverso, per migliaia di volte. Quante esattamente? Non posso dirlo, è un segreto.
Quando vedo che la foglia d’oro, così delicata, si allarga e prende una nuova forma provo sempre soddisfazione. Le foglie finite vengono tagliate in quadrati di otto centimetri, ma non si possono toccare con le mani: per lavorarle servono strumenti come il “canino”, una pinza di legno di bambù e il “carrello”, fatto di lame di ferro montate su un manico di legno. Il momento del taglio è riservato esclusivamente alle “tagliaoro” donne perché hanno una gentilezza e delicatezza nel maneggiare le sottilissime foglie che nessun uomo potrà mai avere.
Sono orgoglioso di sapere che nella mia Venezia la foglia d’oro che esce dal nostro laboratorio riveste l’angelo del campanile di San Marco e la sfera gigante che decora Punta della Dogana, simboli della città, ma sono solo alcune delle innumerevoli opere che brillano grazie al lavoro che facciamo qui dentro.
Il mio è un mestiere che trasforma in arte il lato fragile dei materiali preziosi, ed essere tra gli ultimi interpreti di questa antica tradizione artigiana è per me un onore, ma anche una responsabilità.
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