Guest post a cura di Anelise Sanchez | Blog: post-Italy
Come discendente di italiani, uno dei ricordi della mia infanzia è legato ai pranzi domenicali. Nella casa della mia nonna materna era abitudine preparare la polenta lentamente, seguendo una procedura. Con pazienza, si doveva mescolare senza sosta il misto di acqua e farina di mais, fino a quando il contenuto della pentola incominciava a borbottare e a farsi più consistente.
Il profumo invadeva la casa e la parte che non si riusciva a mangiare a pranzo era saggiamente messa da parte per un altro momento. Come nella tradizione veneta, la polenta era tagliata a pezzi, posta su una griglia accanto al camino e infine immersa in una tazza di latte caldo.
Poco abituata alle attività domestiche fintanto che ero in Brasile, in Italia ho imparato quanto la cucina non sia solo funzionale al nutrimento. Preparare qualcosa con le proprie mani significa dare valore al tempo, esercitare la creatività, condividere con le persone vicine i propri pensieri e momenti di intimità. Una cucina lucida e quasi nuova, come mi è capitato di vedere in casa di qualche conoscente, ne rivela lo scarso utilizzo e la disabitudine a tutto qusto. Non è custode di ricordi. Le macchie di farina sul grembiule invece sì, sono segno di vitalità.
Affondare le mani di farina ha un qualcosa di ancestrale. E’ un’arte, come lo è la creazione della farina stessa a partire dal semplice e prezioso grano. In Italia è possibile addirittura trovare giovani professionisti che si dedicano alla macinazione del grano secondo le procedure più tradizionali.
La professione del “Mugnaio” (in portoghese, moleiro) può sembrare in via di estinzione, considerate le nuove tecnologie e gli enormi quantitativi di prodotto che occorrono per usi diversi, come il pane o la pasta. Tuttavia, la consapevolezza che molte farine raffinate possono rappresentare un rischio per la salute sta incoraggiando i consumatori a preferire i prodotti completamente naturali.
A Riva del Garda (Trento), Alberto Pellegrini porta avanti la sfida di investire nella filiera corta e nell’utilizzo di materie prime autoctone.
Nel suo storico mulino, fondato nel 1903, produce farina di mais e grano saraceno, un ingrediente ampiamente utilizzato nella cucina locale. La parte più antica del mulino è probabilmente del 1700 e ancora oggi funziona il mulino a pietra.
Alberto fa parte della rete di artigiani italiani Italian Stories, e conoscere il suo mulino è regalarsi la possibilità di vivere un vero e proprio viaggio sensoriale tra colori, suoni e profumi antichi, dai quali è inevitabile essere coinvolti.
Un vecchio adagio popolare dice, a proposito del renderesi complice in qualcosa, che chi va al mulino ne esce infarinato.
La visita dura circa un’ora e mezza, costa dieci euro a persona ed è adatta anche ai bambini. E’ possibile prenotare questa esperienza sul sito di Italian Stories.
(Leggi l’articolo in portoghese: Alberto, nem todas as farinhas são iguais)